Loading color scheme

Brazadela

Termina il menù, la brazadela che Messisbugo denominava brazzatelle di latte e zuccaro, del  peso  l’una di 4 once, 120 grammi, e ne offriva ad  ogni  commensale con tovagliolo e coltello, all’inizio e nel corso dell’imbandigione.

BRAZZATELLE  DI LATTE, E ZUCCARO

A FARE 10 Brazzatelle, di oncie 4 l’una. Pigliarai libre 15  di fiore di farina, d’acqua rosa oncie 3,,  di latte libre 3, di zuccaro bianco libre 2, uova numero 25, di  butiro oncie 4, e queste cose insieme grammerai molto bene. Poi farai le tue brazzatelle, seccondo l’ordine che si fanno, e le farai levare con gran diligenza. Et dopoi che saranno levate, farai bogliere la tua  acqua, e le getterai dentro dette brazzatelle a cuocere, e come verranno di sopra le caverai fuori, e la porrai in acqua fresca, e quando d’ivi le leverai le porrai a cuocere nel forno, e se li vorrai porre anesi dentro, serà buona opera.

Nella versione moderna, la brazzadela diventa una ciambella da servire come dolce (Galluzzi Iori Iannotta, La cucina , Muzzio, 1987,  81 ; Emma Lodi Piccioni, A tavola nell’alto ferrarese, Pendragon, 2017,148). Ecco la ricetta di quest’ultima, nella versione più povera, con grasso di gallina al posto del burro ed assenza dello stampo rotondo, in cui si misura tutta la decadenza del modello principesco:

La Brazadela

Ingredienti :

1 kg di farina  bianca

4 uova intere

350 g di zucchero

100 g di grasso di gallina o 100 g di strutto

1 bicchiere scarso di latte

1 pizzico di sale

2 cucchiai di bicarbonato

1 limone (scorza)

 

Setacciare la farina e unirvi il sale, il bicarbonato, il grasso di gallina (o lo strutto)) e impastare il tutto con  le uova, il latte, lo zucchero e la scorza grattuggiata di limone. Ricavare un lungo cilindro e richiuderlo alle estremità. Dopo aver ottenuto un cerchio con il buco nel mezzo, porlo in forno in una teglia di rame unta per 30 minuti. Dato che si tratta di un piatto povero, si cuoceva nel forno di campagna dopo il pane.

Polpette fritte

Per polpette, Messisbugo intendeva fette di carne sottile di vitello sottoposte a cottura. Ecco la sua ricetta : “Piglia la carne  e fanne fette sottili e pestale bene con la costa del coltello, e poi ponile in una terrina con sale, pepe e finocchio pestato, e  aceto, e l’aglio pestato non sarà disdicevole, e lasciale per quattro ore. Poi infarinale, e friggile”. Tralasciamo le salse, privilegiando l’arancio. Potrebbe essere interessante  servire queste polpette fritte, con qualche  goccia d’arancia, terminata la cottura, e, accanto ad esse, le polpette di carne di vitello trita, nell’accezione attuale, per esempio le palline di carne fritta di Giovanni Manzoni (Così si mangiava in Romagna (Berti,  1999,74) o altre d’uso comune.

Code di gamberi fritte

Code di gamberi fritte nel menu del 28 maggio 1530. Una ricetta, fra  le altre, in Manzoni, Così si mangiava in Romagna (Berti,  1999,58) “ Gambari fritti, Sgusciate i gambari nella coda. Passarli nella farina e in uovo battuto o farina e latte, salarli e  friggerli in olio bollente”.

Tortelletti grassi

“Tortelletti grassi ottimi da servirsene e soli e da coprire anadre, pizzoni, o d’altro ucccello”. Ecco la ricetta di Messisbugo, espressa con libbre di gr. 345 ed once di 28 gr. : “Piglia libre due di grasso di manzo, o di vitello, e quando sarà ben disfatto, lo mandarai giuso per la stamegna; poi pigliarai uova dodeci, ben battute, e libre due e meza di buon formaggio duro ben grattato, e oncia una e mezza di canella pista, e libra una e meza d’uva passa, e libra una di zuccaro, & ponerai ogni cosa insieme, & farai il pastume che stia bene, e poi farai la pasta con la farina, e zaffrano,  e un’uovo, e farai le spoglie ben sottili, e poi farai i tuoi tortelletti piccioli, e li cuocerai in buon brodo grasso, poi li imbandirai  o soli nei piatti o sopra capponi o anadre, o pizzoni, e li metterai sopra libra una di formaggio duro grattato, e oncie sei di zuccaro, e mezza oncia di cannella, mescolando ogni cosa insieme. Questi si ponno anche fare senza zuccaro dentro.”

 

Vedansi i tortelli di  vigilia, senza carne, di Giovanni Manzoni (Così si mangiava in Romagna, Berti,  1999,67) o i cappelletti in brodo con ripieno però di solo manzo o vitello, senza pollo, di Marco Tonelli (Ricettario tradizionale di Ferrara, MUP, 2009, 47). Tortelli e cappelletti nella  cucina romagnola sono due facce diverse dei lavori pastari, l’una asciutta e l’altra in  brodo, l’una quadrata o rettangolare, l’altra a mezzaluna con gli orli ripiegati. Messisbugo tuttavia non descrive la forma e cuoce i suoi tortelli in buon brodo grasso. Segnaliamo i cappelletti delicati de La cucina pratica ferrarese nell’edizione del 1923, per la presenza nel ripieno della cannella come nel Libro novo : “Prendete petto di pollo d’india femmina frolla e ben grassa, goletta di maiale, kg 0,230 per sorta, e fate cuocere il tutto in piccola pignatta per ore quattro; grattuggiate kg 0,115 di pane  il quale si scotta col solo brodo,  e fate un impasto ch e non sia né troppo tenero né troppo duro, al quale aggiungerete  la goletta ed il pollo ben triti minutamente o pesti, kg 0,172di buon formaggio, 2 uova intere, una noce moscata, quattro buone prese di cannella regina ed unite bene il tutto. Con questo pieno empirete la pasta fatta con kg 0,150 di farina e sei uova stesa a una discreta g rossezza, formatene i cappelletti, avvertendo di saldarli bene acciò il pieno non esca e cuoceteli ad un fuoco assai lento. “  (14)

Il Messisbugo appartiene (...) a un ceto più elevato di quello a cui possono assegnarsi gli anonimi autori del Libro della cocina e del Libro per cuoco, i quali presumibilmente non furono che semplici cuochi (...). Fu, per dir meglio, un gentiluomo pervenuto al grado di scalco ducale non solo in virtù della sua grande perizia nel confezionare vivande d'ogni genere, ma anche per la sua esperienza diretta della vita di corte (...).
Emilio Faccioli (1966)

Cristoforo Messisbugo può essere considerato non soltanto il fondatore della cucina rinascimentale, ma di quella moderna italiana, che travolta dalla rivoluzione gastronomica francese del XVII-XVIII secolo, oggi riaffiora, non certo come riproduzione pura e semplice di piatti storicamente datata, come indirizzo, come scuola.

Giuseppe Mantovano (2001)
Cristoforo Messi detto Sbugo fu in realtà ben più di un semplice cuoco. Fu infatti l’ideatore del banchetto rinascimentale inteso come un’opera d’arte totale, in grado di deliziare tutti i sensi della committenza.
Patrizia Cremonini (2014)