di Federica Fabbri
«Il fascino degli antichi libri a stampa può appuntarsi sulla loro bellezza, rarità o stranezza […] Ma, al di là di ciò che hanno da dirci in questi ambiti e al di là del loro contenuto, i libri sono anche degli oggetti materiali, frutto di un complesso processo meccanico. Per questo, se si vuole scrivere la loro storia, dovremo indagarne l’aspetto fisico, così come si fa per ogni altro oggetto che ci giunge dal passato».
Lotte Hellinga (1982)
Quanto alle legature, la sola originale è presumibilmente quella che riveste l’esemplare di Mosca: in pergamena floscia con anime dei capitelli passanti sui piatti e fori in corrispondenza del taglio esterno dei per il passaggio dei lacci di chiusura (perduti).
L’aspetto forse più interessante dello studio dei libri antichi a stampa è quello legato all’identificazione delle provenienze, intese non solo come inequivocabili attestazioni della detenzione della copia da parte di uno o più soggetti in passato, in forma di note manoscritte, exlibris, timbri, stemmi impressi sulla legatura, ma – in senso lato – come ogni possibile indizio riferibile a quanti sono entrati in qualche modo entrati in contatto con la copia (possessori, miniatori, legatori, restauratori, bibliotecari).

Nel caso specifico della copia di Bagnacavallo, l’assenza di attestazioni di possesso sulle pagine del libro e l’attuale legatura ottocentesca, sostituita all’originale con il massiccio intervento di restauro conservativo operato nella prima metà del XIX secolo da Giuseppe Taroni (1769-1849), con conseguente perdita di ogni eventuale traccia di possesso presente in quella originale, ci consentono solo di ipotizzare la provenienza della copia bagnacavallese; nell’inventario della biblioteca del locale Collegio dei Gesuiti del 1774, anno della sua soppressione, compare al verso della penultima carta un «Epulario modi di cucinare», corrispondente all’esemplare dell’opera di Giovanni Rosselli, Epulario, il quale tratta del modo di cucinare ogni carne, uccelli, e pesci d'ogni sorte nell’edizione veneziana di Giovanni Antonio Remondini posteriore al 1670, con attuale collocazione Sec. XVII 24788/4; segue, poi, una generica voce «Libercoli n°. 36», non meglio precisati, tra i quali potrebbe ‘nascondersi’ la copia bagnacavallese del Libro novo di Messisbugo.